In questi giorni sento parlare molto della Fiat Panda, del suo stile retrò e della rievocazione di un’auto che ha rappresentato tanto per molti italiani e, soprattutto, per me, che ormai sono prossimo ai “secondi anta”. La Panda per me significava libertà, un senso enorme di indipendenza.
Mi chiedo quanti sappiano davvero cosa significasse guidare una Fiat Panda 45, o anche una 30. E soprattutto, mi domando se si tratti di un’evoluzione o piuttosto di un’involuzione. Leggendo vari articoli sull’argomento, credo proprio che valga la pena rispolverare un mio vecchio ricordo.
Sono nato nel 1977. Ai miei tempi, i teenager vivevano di pane e motori. Io, appassionato di tutto ciò che aveva due o quattro ruote, divoravo mensilmente Quattroruote, Auto, Gente e Motori. Non ne perdevo un numero.
Credo che, dopo Topolino, siano state le mie collezioni più numerose: leggevo e rileggevo ogni rivista per un mese intero, senza mai stancarmi di scoprire ogni dettaglio, ogni sfumatura che mi portava a sognare.
Quattroruote all’epoca era un’istituzione. Mio padre era abbonato, ma per me “l’evasione” era rappresentata da Auto, perché pubblicava, in modo meticoloso, dati prestazionali come la frenata da 100 km/h a 0, oppure il tempo impiegato per coprire i 400 metri o il chilometro da fermo.
Tutto questo per farvi capire quanto fossi devoto ai motori e con quanta impazienza attendessi il giorno in cui avrei preso la patente, per viaggiare o, meglio ancora… per divertirmi al volante.
Il primo incontro con la Fiat Panda 45
La mia prima esperienza alla guida è stata con una Ford Fiesta. Avevo poco più di quattro anni e, mentre aspettavo che mio padre facesse benzina, riuscivo a giocare con il cambio, la frizione e il freno a mano, muovendo l’auto di qualche metro da “fantasma” alla guida.
Passano gli anni, e la mia prima vera guida è stata al volante di una gloriosa e inarrestabile Fiat Panda.
Non una Panda qualsiasi, ma una 45 con motore a scoppio, interni presi in prestito da una Seat Marbella e carrozzeria rosso Ferrari.
Per un appassionato di motori come me, quella Panda 45 era un sogno. Certo, nella vita di tutti i giorni era un’auto pratica e indistruttibile, ma se la confrontiamo con le citycar di oggi, era povera, anzi, poverissima.
I sedili erano in tessuto e ricordavano quelli di un lettino da spiaggia. L’impianto di ventilazione, se funzionava, soffiava aria calda proveniente dal motore. I finestrini, se avevi la sfortuna di lasciarli aperti durante un temporale, in pochi secondi trasformavano l’abitacolo in una piscina.
Eppure, ancora oggi quella Fiat Panda 45 rappresenta per me un ricordo incancellabile: era italiana, era rude, era inarrestabile!
Aveva quattro marce, una frizione che non deludeva nemmeno nelle partenze in salita (sapevo già fare il punta-tacco!) e un motore rumoroso già all’accensione: un frastuono che proveniva dallo scarico o forse dall’aspirazione, chissà.
Il tergicristallo aveva un’unica velocità. Gli specchietti retrovisori? Uno solo, lato guida, e ti lasciava giusto intravedere la linea della vettura. E le ruote?
Ricordo ancora una serata di pioggia torrenziale: mio padre dovette scendere per mettere del cartone sotto le ruote anteriori, per creare aderenza e riuscire a ripartire.
L’impianto stereo: un’epoca irripetibile
Ah, già! Dimenticavo un dettaglio che, almeno fino ai primi anni ’90, andava molto di moda: l’impianto stereo.
Sulla Fiat Panda 45 (ma anche sulla 30) non esisteva nulla di preinstallato!
Dovevi acquistare un vano portaradio, degli alloggiamenti aftermarket per inserire due altoparlanti nel tascone anteriore, mentre la cappelliera ospitava, il più delle volte, un paio di maxi woofer.
Altro che ADAS, DAB e suono ad alta fedeltà!
Lì tutto era home-made, e che soddisfazione quando, nel mio caso, avevo realizzato un subwoofer con un tubo per idraulica, un amplificatore (se non sbaglio un CIARE) e un crossover artigianale, regolato con fili di rame tagliati a lunghezze diverse per modificare le frequenze.
Ecco cosa significa ricordare la Fiat Panda storica. Ecco cosa vuol dire partire da un vero termine di paragone, invece di limitarsi a guardare qualche foto nostalgica, che, per quanto evocativa, fa battere il cuore molto meno.